Spulciando tra i miei documenti ho trovato questo interessante articolo che avevo scritto di mio pugno nel 2020, e rileggendo oggi mi è venuto voglia di pubblicarlo. Rappresenta il Manifesto di quella che è la mia visione della professione dell’ortodontista, e, sebbene siano già passati quasi 3 anni da quando l’ho scritto, è ancora attuale e, nella sua conclusione, anche visionario (ma non troppo, visto gli ultimi sviluppi tecnologici).
A tutti coloro che avranno voglia di cimentarsi, con l’augurio di trovarla interessante, buona lettura!
Appunti di Ortognatodonzia Estetica Miofunzionale “dai 3 ai 99 anni” (ovvero il mio punto di vista sull’ortodonzia nel 2020, con un lessico il più possibile semplificato, rivolti a colleghi ed addetti ai lavori, ma anche a pazienti curiosi ed intuitivi).
Premessa (semplificando):
- L’odontoiatria è una specialità della medicina che si occupa della salute dei denti e del terzo medio e inferiore del viso (la parte che va dal mento al naso)
- L’ortodonzia è quella branca dell’odontoiatria che si occupa di raddrizzare i denti storti
Fin dal primo momento in cui ho iniziato la mia attività di odontoiatra sapevo che avrei dedicato molta passione e risorse all’ortodonzia, senza però mai perdere di vista l’odontoiatria in generale, di cui mi piace esplorare ogni singolo aspetto.
Cerco di essere un dentista “generico”, per non perdere mai la visione d’insieme dell’apparato stomatognatico, e il modo in cui questo influenza il resto del corpo: basti pensare quanto uno sviluppo non corretto dei mascellari possa determinare problemi in un pz giovane o adulto legati alla respirazione, o all’intima relazione che può esserci tra Visione, Postura e Disturbi Temporo Mandibolari.
Il concetto di “contaminazione” tra le varie branche dell’odontoiatria e tra queste e la medicina generale realizza secondo me la sua massima espressione proprio nella disciplina che prende il nome di ortodonzia, termine che trovo al giorno d’oggi, per le conoscenze attuali sulla materia, un po’ riduttivo, ma che manterrò per comodità.
Per me una malocclusione non può e non deve mai essere affrontata solo dal punto di vista ortodontico anche se i pz, piccoli o grandi che siano, si rivolgono a noi professionisti perché vogliono i denti dritti. Se oggi mi volessi approcciare a risolvere una malocclusione dal punto di vista esclusivamente ortodontico, nell’accezione più classica del termine, farei lo studio del caso sulla base della situazione dento-scheletrica del pz, lo studio dei modelli e il tracciato cefalometrico, per stabilire infine con quali, quanti dispositivi fissi e/o mobili, quanto stripping, quante estrazioni, e per quanto tempo il pz dovrebbe sottoporsi a trattamento per arrivare al risultato desiderato, Peccato che questo approccio faccia riferimento a protocolli che andavano bene fino alla fine degli anni 90. Fino ad allora si poneva tutta l’attenzione sui denti, tutt’al più ai mascellari, interrogandosi poco o addirittura ignorando del tutto le cause che possono aver determinato la malocclusione. Molti colleghi accettano tutt’ora questo tipo di approccio, addirittura aspettando che i pazienti giovani completino lo sviluppo senza fare nulla prima, imputando la maggior parte dei problemi ortodontici al corredo genetico del pz.
Oggi sappiamo che questa affermazione, che prima si riteneva valida quasi sempre, adesso si è molto ridimensionata. Quasi tutte le malocclusioni hanno origine disfunzionale, e noi abbiamo l’obbligo di correggere la funzione, a livello neuromuscolare, per arrivare al miglior risultato possibile, prima ancora di pensare ai denti. Per fare questo bisogna sempre approcciare il caso in modo multidisciplinare andando in primis a cercare le cause, soprattutto quelle legate ad una disfunzione, che possono aver determinato la malocclusione. Per poter interpretare correttamente ogni singola malocclusione e quindi stabilire il percorso migliore per una completa riabilitazione, preso atto di tutte le variabili che sono insite in ogni singolo paziente, occorrerebbe un trattato di ortodonzia bioprogressiva miofunzionale, e certamente non è quello che voglio illustrare qui in questi appunti.
Premesso che resta valido il principio per cui ogni caso fa storia a sé, dovrò per forza di cose semplificare un pochino, dividendo per lo meno i pazienti in due categorie principali: pz in fase di crescita e pz adulti (almeno dal punto di vista dento-scheletrico).
Il pz in fase di crescita
Per pz in fase di crescita io intendo tutti i bambini che vengono alla mia attenzione e che hanno ancora un potenziale di crescita inespresso che posso condizionare ortopedicamente per risolvere la malocclusione, quindi ipoteticamente dai 3 fino ai 12-14 anni circa.
Salvo eccezioni, l’età in cui in questi casi preferisco approcciare il pz al trattamento ortodontico è intorno ai 5-6 anni nei casi più gravi, dove c’è un problema ortopedico importante di iposviluppo trasversale e sagittale al mascellare superiore, 8 anni per tutti gli altri. Ovviamente questo è possibile se si intercetta il pz per tempo, altrimenti si comincia quando si può. Anzi, la cosa giusta da fare sarebbe di iniziare il trattamento appena si intercetta la presenza di uno SMOF, o Squilibrio Miofunzionale Oro Facciale, indipendentemente dall’età del paziente. Però, per ovvie ragioni, la gestione del paziente risulto un po’ più semplice in alcune fasce di età piuttosto che in altre.
Nel pz in crescita la parte principale del trattamento spetta ai dispositivi ortodontici miofunzionali preformati di nuova generazione. I protocolli di utilizzo di questi apparecchi sono principalmente finalizzati al trattamento della disfunzione respiratoria e dei muscoli, in particolare la lingua. I dispositivi inoltre contengono delle informazioni che vengono interpretate dai tessuti in fase di crescita andando a stimolare le zone deficitarie e sono simmetrici, quindi tendono a correggere asimmetrie ed a ricentrare la masticazione.
La mia principale preoccupazione in questa fase verso il paziente è di trasformare il pz da disfunzionale in funzionale (questo è un concetto completamente diverso dall’ortodonzia convenzionale, che persegue obiettivi diversi). La correzione precoce delle abitudini miofunzionali, in un paziente in crescita, porta a un migliore sviluppo craniofacciale che si traduce in uno spazio adeguato per i denti in eruzione e facilita anche il corretto allineamento dei denti nella loro posizione naturale. Inoltre, si ottengono miglioramenti delle vie aeree superiori del paziente, con grande beneficio per la sua salute generale.
L’ottenimento di questi risultati non avviene soltanto chiedendo al pz di portare l’apparecchio un’ora al giorno a labbra chiuse e tutta la notte ma attraverso un percorso fatto anche di esercizi, parte integrante della terapia, che, mese dopo mese, il pz dovrà esercitarsi a fare correttamente, per riprogrammare quell’equilibrio neuromuscolare necessario ad ottenere un risultato che si mantenga il più possibile stabile nel tempo, riducendo al minimo o eliminando l’utilizzo di contenzioni. La Terapia Miofunzionale è fondamentale tanto che potrebbe bastare da sola per correggere la malocclusione (come affermato dal padre dell’ortodonzia miofunzionale, il Dr. Alfred Paul Rogers), e gli apparecchi preformati possono essere considerati come strumenti per potenziare ed aumentare la predicibilità del risultato. Un vero e proprio cambio di paradigma.
Il trattamento miofunzionale potrà essere integrato, a volte e a seconda dei casi, con qualunque altra tecnica chirurgica, dispositivo o artefatto fisso che ritenga utile per ottenere il miglior risultato possibile, ma sempre in combinazione con il trattamento miofunzionale. Per tecnica chirurgica intendiamo ad esempio frenulectomie labiali o linguale (a me piace eseguirle col LASER) se ci troviamo in presenza di frenuli corti che impediscono uno sviluppo corretto dell’apparato stomatognatico (tipo la corretta postura della lingua a riposo sul palato) o l’adenoidectomia, questa di competenza dell’otorino, legata alla presenza di adenoidi infiammate e/o ipertrofiche che impediscono una corretta respirazione. Stesso discorso per le tonsille. Per dispositivi o artefatti intendo rialzi sui denti o molaggi selettivi (ovvero rialzare e/o limare alcuni elementi per eliminare le interferenze nell’occlusione), o agli archi di espansione palatali. Questi ultimi si utilizzano quando il diametro trasversale del palato è “troppo stretto”, e possono essere senza palato, come il BWS (Bent Wire System), per poter essere utilizzati in combinazione con l’apparecchio miofunzionale o, nei casi più gravi, in caso di palati con diametri trasversi critici, dove per mancanza di spazio non si può iniziare con l’apparecchio miofunzionale, ricorro ancora all’ERP (Espansore Rapido Palatale), apparecchio ortopedico che agisce sulla sutura palatina per allargare il palato e le vie aeree sovrastanti, per un periodo di 6/8 mesi, prima di passare al trattamento miofunzionale. Devo dire ormai davvero di rado.
A queste che sono comunque tecniche note a qualunque ortodontista abbino anche altri strumenti specifici per andare a lavorare direttamente sui muscoli del paziente, come ad esempio la Terapia a Vibrazione Locale.
La maggior parte del trattamento non viene svolto alla poltrona del dentista che, per ovvie ragioni, non mette il bambino a proprio agio, ma in locali dedicati, con tablet o schermi sulle pareti per guardare gli esercizi, grandi specchi dove poterli ripetere, sia da soli con l’educatore miofunzionale (che può essere un logopedista, qualcuno del proprio staff, o entrambi) che in piccoli gruppi. Locali divertenti e colorati, a misura di bambino. Vengono consegnati durante il trattamento tutta una serie di strumenti per tenere tempi, misure e punteggi dei progressi raggiunti e per spiegare, in modo semplice, cosa si sta cercando di correggere in quel momento e perché è importante per la salute del bambino. L’automotivazione al trattamento è la chiave per il successo, ed è importante coinvolgere in questo processo anche i genitori.
In un pz in crescita 2 anni (3 nei casi più complessi) è la durata necessaria per ottenere un risultato che soddisfi le mie aspettative, se il trattamento viene eseguito con la giusta collaborazione da parte del pz, un tempo sufficiente a rimettere il potenziale di crescita sui giusti binari e per correggere le funzioni in modo stabile. Dopo si lascia che il pz cresca tenendolo sotto osservazione un paio di volte l’anno, magari facendo coincidere i controlli con le igieni semestrali. Se vi state chiedendo se in futuro, una volta cresciuto il pz e completata la permuta, per il solo fatto di aver eseguito un trattamento di ortognatodonzia miofunzionale il pz non necessiterà di ulteriori cure ortodontiche, ebbene la risposta è che non si può stabilire a priori finché non avrà terminato lo sviluppo. Quello che però sento sempre di poter affermare con ragionevole sicurezza è che, qualora si dovesse ancora intervenire ortodonticamente da adulti, ebbene ci troveremo sicuramente di fronte ad una situazione decisamente molto meno drammatica di quella che avremmo affrontato se non avessimo deciso di fare nulla e di aspettare che il pz terminasse lo sviluppo, e questo non solo da un punto di vista dentale ma scheletrico, funzionale e quindi di salute generale. Tutti i bambini possono sopravvivere con i mascellari poco e mal sviluppati, con deglutizione atipica o respirando prevalentemente con la bocca, ma noi abbiamo il dovere morale di correggere queste patologie prima che possano causare danni maggiori, o almeno dobbiamo segnalarle ai genitori e sensibilizzarli.
Respirare con la bocca è PATOLOGICO, e, nei casi più gravi, può portare a deficit di sviluppo neurocognitivi!
Il pz adulto
Per pz adulto (circa dai 13-15 anni in su, dipende dal sesso) si intende quel pz dove ormai non si può più condizionare in modo significativo il potenziale di crescita e dove quindi le basi ossee sono ormai definite. Si potrà cambiare la posizione nello spazio dei mascellari, entro certi limiti anche la forma dei mascellari, sicuramente posso agire sulla posizione dei vari denti, compatibilmente con la presenza di osso. Come nel pz in fase di crescita, sebbene in modo più semplificato, anche nel pz adulto ho deciso di integrare sistematicamente il trattamento miofunzionale a quello ortodontico, per cercare di rieducare funzione ed equilibri neuromuscolari della bocca, pur conscio che difficilmente a fine trattamento potremo evitare una contenzione, che sarà però sicuramente più efficace in una bocca dove abbiamo agito anche migliorando l’equilibrio neuromuscolare. Questo anche al fine di prevenire o migliorare, se già presenti, problemi alle articolazioni temporo-mandibolari. Come per i bambini anche negli adulti la mia prima preoccupazione è di trasformare il pz da disfunzionale in funzionale, o almeno provarci. Parlando dei casi relativi ai pz adulti non descriverò quei trattamenti prettamente ortodontici dove il problema è solo estetico, legato a derotazioni o piccoli disallineamenti dentali da correggere, né i casi più gravi, cosiddetti “chirurgici”, che sono, per fortuna, pochi, e devono per forza passare dal chirurgo maxillo-facciale.
Vi voglio raccontare di quei pz adulti che hanno avuto uno scorretto sviluppo dei mascellari, con problematiche, scheletriche e disfunzionali, più o meno gravi, di competenza dell’ortodontista-ortognatodontista. Pazienti con squilibri miofunzionali orofacciali non corretti durante la crescita, che hanno portato uno scorretto sviluppo dei mascellari, e quindi una posizione errata dei denti.
Al primo appuntamento, mentre conosco il pz, cerco di capire quale problema di sviluppo e/o disfunzionale può aver determinato uno scorretto sviluppo dei mascellari, e se c’è una componente genetica, di familiarità, di cui tenere conto. In questa fase mi limito più che altro ad osservare e porre qualche domanda mirata, ma già ho elementi sufficienti per poter parlare della terapia. Per arrivare a proporre un piano di trattamento completo e il più possibile preciso bisogna completare la visita col cosiddetto “Caso Studio”, ovvero la raccolta di dati quali foto, impronte (da cui deriveranno modelli studio), lastre (opt e tele).
- Foto: rappresentano un documento che mostra lo stato iniziale della bocca del pz, sia per le forme dei mascellari che per quelle dei denti. L’ortodonzia sposta i denti ma non ne cambia le forme. Se ci sono elementi che una volta riposizionati mostreranno al pz difetti, magari segni di usura legati ad un’occlusione scorretta che da “storti” si notavano meno, meglio essere chiari fin da subito, e avere qualcosa che documenti il “prima”. Le foto sono da ripetere per tutta la durata del trattamento ad ogni appuntamento o quasi, anche per avere uno storico dei progressi.
- Modelli studio: stabiliscono lo stato di fatto prima di iniziare il trattamento. Osservando la forma delle arcate si valuta come queste dovranno modificarsi durante il trattamento. Si analizzano le problematiche verticali, orizzontali e trasversali. Si valuta se, eliminando i blocchi funzionali, ci possa essere un riposizionamento dei mascellari, e di che entità. Si stabilisce la strategia migliore per restituire la corretta dimensione verticale, già cercando di capire in questa fase se ha senso fare tutto solo ortodonticamente (dipenderà da quanta strada devono fare i denti), o se vale la pena di aiutarsi con artefatti tipo rialzi in composito estetici definitivi (tipo faccette occlusali) per correggere prima e meglio per esempio problemi verticali (con meno rischio di recidiva). Si cerca di capire con quali dispositivi restituire la corretta dimensione traversale e forma d’arcata, se basteranno archi NiTi (nichel titanio) o dovremo usare sistemi un po’ più energici con archi SS (acciaio) in combinazione con la miofunzionale, o misti.
- Lastre: opt (ortopantomografia) e tele (teleradiografia). La prima ha senso, serve ad escludere sorprese ed è un elemento di valutazione generale che bisogna sempre osservare con attenzione. La seconda serve perché si deve fare il tracciato cefalometrico, importante dal punto di vista medico legale (ma non aggiunge nulla di clinico, è un esame vecchio e superato, in tutte le sue declinazioni). Un esame più interessante in questo senso potrebbe essere la CBCT a bassa dose di raggi, utile ma non indispensabile, a meno che dagli esami precedenti non emergano criticità che meritino un’indagine più approfondita nelle tre dimensioni dello spazio.
- Valutazione Miofunzionale: un questionario sui disturbi del sonno, un controllo su come respira il pz, postura della lingua, deglutizione, competenza labiale. Si fanno fare dei semplici test e si prende nota dei risultati.
Una volta stabilita la strategia e descritto il quadro terapeutico al pz, la prima cosa che faremo sarà quindi quella di cercare di svincolare l’occlusione ed eliminare tutti i blocchi funzionali, a partire proprio da quelli legati all’occlusione. Il riposizionamento dei mascellari, legato all’utilizzo del dispositivo preformato, determinerà il nuovo piano occlusale di riferimento per il pz, questo grazie alla terapia miofunzionale che integreremo nel trattamento. Nel mentre archi e brackets concorreranno nel modificare le forme d’arcata e, ovviamente, riposizionare correttamente gli elementi dentali.
L’estetica del trattamento
Molti anni fa, certo ormai più di 10, ho abbandonato qualunque tipo di ortodonzia “visibile”, ovvero i trattamenti con le “stelline” che si vedono sui denti, a favore dell’ortodonzia linguale, quella con i brackets dietro i denti, l’unica vera ortodonzia invisibile. Questo nel 100% dei miei casi, dai bambini agli adulti, di qualunque età. In un’epoca segnata dall’esplosione degli allineatori trasparenti, la curiosità mi ha spinto a provare ovviamente anche queste tecniche. Ma i problemi che ho riscontrato con gli allineatori legati all’alto utilizzo dei laboratori che inevitabilmente fanno lievitare il costo del trattamento e ci vincolano continuamente ad un soggetto terzo, la difficoltà di poter cambiare istantaneamente qualcosa a trattamento in corso, la scarsa efficienza del sistema che muove i denti a singhiozzo, l’alta collaborazione del pz necessaria per la riuscita del caso e il concetto di trattamento estetico che poi così estetico non è (tra attachment e mascherine che si sporcano appena si beve un caffè), mi hanno sempre fatto tornare sulla via maestra, quella dell’ortodonzia linguale.
Mi fregio di aver avuto grandi Maestri come mio padre, che ha imparato la tecnica linguale ispirato dal Prof. Aldo Macchi, ed il Prof. Franco Bruno, che mi ha insegnato la tecnica linguale con i concetti di ortodonzia bioprogressiva (filosofia Zerobase) e mi ha fatto vedere i primi dispositivi preformati usati con la fissa. Al Prof. Chris Farrell, indirettamente, devo il mio approccio clinico Miofunzionale. Da sempre utilizzo brackets autoleganti tipo i 2D Lingual, con archi preformati o rocchetti in NiTi (Nichel-Titanio) con o senza gli offset (il cosiddetto arco a fungo, che utilizzo in modo attivo quando devo chiudere gli spazi), o anche con tecnica ultra low friction ad arco dritto, usando i brackets fino ai canini ed utilizzando tubetti in PET, preventivamente sterilizzati ed affogati nel composito, sulle superfici occlusali di premolari e molari, ottimi quando dobbiamo anche aumentare la dimensione verticale. Ogni caso viene approcciato in combinazione con uno o più dispositivi preformati da tenere 1h al giorno a labbra chiuse e durante la notte, e che facciano compiere al paziente esercizi specifici per respirare col naso, portare la lingua sul palato e recuperare la competenza labiale. Nelle meccaniche fisse linguali se occorre più spinta posso alternare agli archi NiTi, di vari diametri, gli archi SS (Stainless Steel, acciaio), oppure utilizzo tecnica mista ovvero brackets linguali con archi NiTi in combinazione con bande sui molari nelle quali si inserisce il Bent Wire System. Il bandaggio (termine che indica l’operazione di incollaggio dei brackets ai denti) viene sempre effettuato con tecnica diretta, quindi nessun costo di laboratorio, e la tecnica ortodontica linguale fissa lavora sempre in combinazione con la miofunzionale, che, idealmente, dovrà essere accettata dal pz per tutta la durata del trattamento, quale che sia la sua età. In un caso ben impostato si vede il pz con intervalli dalle 4 alle 8 settimane, ma questo varia molto da caso a caso. Ho anche provato tecniche cosiddette “bracketless”, con l’utilizzo del solo arco affogato nel composito, tecniche che vanno benissimo per piccoli riallineamenti, ma non per casi più complessi e soprattutto richiedono l’intervento del professionista molte più volte. Invece per me i casi devono “viaggiare da soli”. Entrando ancor più nel tecnico, poiché i brackets 2D non controllano il torque radicolare, ebbene, una volta che il movimento ortodontico del dente ha inizio, l’utilizzo della miofunzionale con i dispositivi in silicone preformato in combinazione con l’ortodonzia già di per sé corregge parte del torque. Se poi non è sufficiente basta l’applicazione di un septional in NiTi sotto l’arco principale che crei un momento (coppia di forze) sul gruppo di elementi di cui vogliamo perfezionare l’allineamento “radicolare”. Nella mia esperienza sono riuscito a fare così a meno dei brackets 3D, che per un periodo ho utilizzato (periodo Incognito/Win), evitando di dover gestire archi e slot a sezione quadrata, che possono generare movimenti radicolari indesiderati, ed utilizzando brackets autoleganti, semplici, sottilissimi, economici, standardizzati e comodi per il pz.
Mi presento
Sono il Dr. Vincenzo Giorgino, come ho già scritto mi piace considerarmi un dentista “a tutto tondo”. Non posso certo nascondere che ci sono aree del mio lavoro che mi appassionano più di altre, l’ortodonzia per esempio, che io vedo legata allo sviluppo craniofacciale, alla funzione del paziente, e, soprattutto, invisibile, o perlomeno altamente estetica.
Sogno un futuro per la nostra professione dove l’intelligenza artificiale, combinando anamnesi, dati anagrafici, foto e video di un paziente ed esami strumentali tridimensionali possa restituire un piano di trattamento ortodontico miofunzionale altamente predicibile, accompagnando il paziente durante ogni fase del trattamento, grazie agli strumenti che oggi o in futuro la tecnologia ci proporrà, e riparametrando di volta in volta il trattamento a seconda dei risultati e del livello di compliance ottenuto, lasciando allo specialista il compito di supervisionare e di intervenire solo in casi selezionati.
Per esempio una situazione dove lo specialista raccoglie tutti i dati in prima visita, si delinea il corretto quadro clinico e si fa diagnosi, inserendo tutti i record su un portale. Il paziente segue il trattamento tramite un’applicazione (che ovviamente fa riferimento a quei dati) per cellulare o tablet, che di volta in volta possa misurare i progressi, controllare il corretto svolgimento degli esercizi, analizzare le foto ed i video che il paziente fa da solo ogni qualvolta l’intelligenza artificiale lo richieda, proporre il passaggio da un dispositivo preformato ad un altro a seconda di quali squilibri miofunzionali orofacciali sono stati corretti e quali ancora no, per arrivare alla fine del trattamento con la massima motivazione e consapevolezza, ma soprattutto col miglior risultato possibile, in termini ortodontici. ortopedici e di correzione di funzioni e muscoli che erano alla base dell’instaurarsi della malocclusione, affinché in risultato raggiunto possa essere stabile nel tempo.
Allo specialista ed al suo team il compito di monitorare e controllare che il paziente svolga correttamente il trattamento, tramite il portale che, quando necessario, manderà degli alert per richiamare l’attenzione del paziente, dei genitori e dello specialista, e di effettuare i controlli di routine.
Considerando i progressi tecnologici che negli ultimi anni sono stati fatti nel campo della medicina e in particolare della capacità da parte delle intelligenze artificiali di analizzare e interpretare i dati, non mi sembra un quadro così utopico.
Dr. Vincenzo Giorgino
Varese, 28/05/2020